Carie

Carie (“cavity”) is a hole made by a woodworm that responds to the name of “climbing”.
Carie is what remains of the degeneration process of a tissue, in this case of a place.

Intervista di Denis Piccolo

Intervistati Marzio Nardi, Achille Mauri e Federico Ravassard. 

Foto Federico Ravassard

 
Il progetto

Carie è un buco frutto di un tarlo che risponde al nome di “arrampicata".
Carie è quello che resta del processo di degenerazione di un tessuto, in questo caso di un luogo. 

In questi due concetti è sintetizzato questo progetto, che affonda le sue radici nell'immenso serbatoio d'ispirazione che è l'arrampicata. Il suo scopo è quello di osservare un luogo apparentemente lontano e in antitesi con le bellezze naturali e trovare il "bello" attraverso l'arrampicata. Abbiamo utilizzato questa disciplina come mezzo di interpretazione di questi spazi.

Carie non è un inchiesta, non è una denuncia né una presa di posizione ma uno sguardo su quel mondo da parte di un gruppo di arrampicatori attratti dall'estetica che questi luoghi posseggono, dalla loro storia e dalle loro contraddizioni.


Come è iniziato 
Carie nasce in contemporanea a uno shooting fotografico Ferrino - Rockslave, organizzato da Marzio Nardi insieme ad Achille Mauri e Federico Ravassard presso le cave di marmo di Carrara.
Un progetto che parte dall'arrampicata e si estende al rapporto con un territorio ferito, come quello delle Alpi Apuane, montagne non più montagne perchè distrutte dall'attività estrattiva.
Da qui nasce l'idea di Marzio, Achille e Federico: non limitarsi a fare fotografie, ma dare voce a un territorio, una comunità. Soprattutto studiare quel rapporto tra montagna, verticalità e ostinazione , che rappresentano l’anima di questi luoghi, riportandoci in qualche modo all’anima dell’arrampicata. Ed è cosi che spazi dimenticati diventano teatro per nuovi gesti che seguono la linearità delle forme tra fessure e tagli di cava, tutto ciò che ci circonda è lontano da ogni concetto di montagna e l’arrampicata si manifesta come unico mezzo per restituirgli la sua dignità e fascino.

Qual è il concept 

Marzio: È un progetto che nasce tanti anni fa da una mia ossessione, ovvero quella di dare vita a questi spazi in cui regna il vuoto e spesso l'abbandono. Sono fette di paesaggio che l'uomo ha sfruttato e poi abbandonato che per me conservano un forte potere attrattivo. Per questi luoghi,  che altro non sono che delle ferite nella montagna, l'arrampicata può essere la cura. Il magnete che attira la creatività. Abbiamo interpretato le linee senza scavare appigli ma arrampicando su gli quelli già esistenti che l'uomo aveva scavato per altri fini. Questo è stato il modo in cui ci siamo messi in gioco. Adattandoci a quello spazio senza alterarlo ma utilizzando i mezzi che l'arrampicata ci consente: corde, moschettoni, chiodi e friend. Ci tengo a ricordare che questo era un progetto che avrei voluto portare a termine anche con Adriano Trombetta, con il quale l'avevo immaginato. Purtroppo "La Montagna" l'ha preso con sé.

 

Chi c’è dietro Carie?

Marzio Nardi. Arrampicatore da 35 anni, sono stato uno dei primi campioni italiani di arrampicata sportiva, ma molto presto ho abbandonato le competizioni per inseguire con l'arrampicata la creatività: cercare luoghi da chiodare, tracciare gare, scolpire appigli, filmare. Raccontare l'arrampicata e come essa si manifesta nelle sue più svariate forme. Nel 1997, con il Bside ho creato una delle prime sale d'arrampicata in Italia.

Achille Mauri, nato a Lecco non troppo tempo fa. Vado in montagna da quando sono piccolo grazie a una solida tradizione di famiglia, e attraverso il mio lavoro di videomaker/fotografo cerco di analizzare il rapporto tra uomo e ambiente in tutte le sue forme. Carie è stato per me un unione tra etica, estetica ed “atletica”.

Federico Ravassard, 25 anni, torinese.  Ai miei nonni ho detto che faccio il fotografo, ma nella pratica la fotografia è solo uno dei mezzi con cui cerco di raccontare qualcosa. Per il momento lavoro principalmente nel mondo degli sport outdoor, anche se da grande non ho ancora capito bene cosa vorrei fare.

 

Siete tutti e tre climber, quale espressione di climbing vi piace e quale no?

Marzio: Quello che più mi piace è la sua mancanza di confini. La possibilità di rimescolare le carte e fare una cosa nuova o almeno diversa da quella fatto la volta prima. La possibilità di portare questo gesto ovunque dando in significato nuovo alle cose. Non sopporto il rischio di stereotipare le cose a cui sta andando incontro anche l’arrampicata, e poi non sopporto più le scarpe strette.

Achille: Non ho particolare predisposizione nei confronti di uno stile di arrampicata. Amo l’ambiente in cui essa viene praticata e aver la possibilità di cambiarlo è una fortuna. Di certo le cave hanno aperto in me una quarta dimensione, nel bene e nel male.

Federico: Personalmente mi piace variare il più possibile: falesia sportiva, trad, grandi vie alpinistiche e palestra quando sono in città. Non ho particolari preferenze, al massimo ciò che fa la differenza è il periodo dell’anno. Un aspetto dell’arrampicata che non mi fa impazzire è, purtroppo, l’impoverimento “culturale” degli ultimi anni dell’arrampicata indoor, un mondo che ha iniziato a essere frequentato da persone che hanno più a che fare con il crossfit e non sembrano particolarmente interessate alla roccia.

 

Filmando questo progetto cosa vi siete trovati di fronte?

Achille: Innanzitutto ci sono stati due generi di approcci filmici a questo lavoro:

uno prettamente “sportivo”, focalizzato sul gesto atletico dei climbers e della loro armonica interpretazione delle linee. La scelta del tiro era estremamente determinata dalla bellezza estetica e di come essa risultava attraverso l’obiettivo. A quel punto si innescava una sorta di silenziosa complicità tra noi e gli scalatori, interrotta solo da: “ Buono o rifacciamo? Rifacciamo…”. Il nostro tempo speso in parete è stato equivalente al loro, escluse quelle volte che “Tuono Blu” (nick name di Roberto Gianocca, il “Dronista”) volava libero per i cieli toscani.

Il secondo approccio del documentario, invece, è stato molto più documentaristico. Le persone che abbiamo coinvolto e quindi ascoltato sono state scelte unicamente da noi, attraverso una naturale selezione. Siamo stati curiosi fin dall’inizio, a mio parere non troppo onniscienti, ma questo spetta al pubblico a dirlo.

 

Con quanta forza uno sport come il climbing può denunciare delle forti tematiche ambientali?

Federico: Rispetto ad altre discipline, l’arrampicata ha il doppio vantaggio di essere intrinsecabilmente legata al territorio e di essere facilmente comprensibile ad un pubblico di non addetti ai lavori se raccontata nella chiave giusta che di sicuro non è quella della performance sportiva, e in questo l’ha dimostrato il successo trasversale di Free Solo. L’idea di Carie è quella di utilizzare l’arrampicata come specchietto per le allodole, attrarre il pubblico attraverso le scene di azione per poi trattare argomenti più seri, ad esempio quello della cavatura. Il pubblico outdoor è di base molto attento alle tematiche ambientali, bisogna solo trovare il modo di catturare la sua attenzione e in questo lo sport si presta molto bene, una sorta di infotainment. 

 

Quanto e in che modo lo sport, sopratutto quello outdoor, può influire e aiutare il pianeta? E quanto permette di sensibilizzare le persone che non hanno ancora affrontato il tema?

Federico: Storicamente lo sport ha già dimostrato di poter essere in grado di influenzare politica e società, basti pensare al gesto di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Messico ’68 o, più recentemente, alle influenze di Putin nel sistema olimpico russo o la vicenda di Colin Kaepernick. È un linguaggio globale, che si presta bene a una diffusione attraverso un pubblico trasversale. Nel caso degli sport outdoor, poi, il messaggio viene rafforzato grazie alla spettacolarizzazione dell’ambiente in cui si svolge pratica.

 

Da un pò di tempo sembra che tutte le aziende siano preoccupate delle problematiche ambientali, realtà o marketing?

Federico: Sicuramente per alcune aziende il green è un trend orientato ad ottenere benefici in termini di fatturato, così come lo era stata un paio di anni fa una certa attenzione al pubblico femminile. Allo stesso tempo, però si è venuta a creare una consapevolezza collettiva tale da fare in modo che i brand, per essere apprezzati, debbano assolutamente rispondere a certi requisiti di sostenibilità ambientale. Lo stesso vale per i consumatori, che ora orientano i loro acquisti in modo più mirato, quindi ben venga. Certo, poi questa filosofia andrebbe applicata anche al di fuori del mondo dell’outdoor, che di per sé è veramente una formica.

Disponibile il 27 aprile, dalle 21 alle 24 
Enjoy!
Carie will continue its journey at some European film festivals and will soon be available on the big screen.
Here’s the teaser.