Andrea Lanfri road to Everest

Andrea Lanfri road to Everest

Andrea Lanfri road to Everest

Andrea Lanfri road to Everest

Andrea Lanfri è pronto a partire per il Nepal, dove tenterà la salita dell’Everest. Nessuno italiano con pluri-amputazioni ha mai tentato una scalata sopra gli 8000 metri e Ferrino sarà al suo fianco nel raggiungimento di questo obiettivo.

L’atleta paralimpico e ambassador Ferrino ha deciso di alzare l’asticella, ora punta all’Everest. La partenza dall’Italia è fissata per il prossimo 23 marzo, destinazione Kathmandu. Dalla capitale nepalese un volo interno fino a Lukla, quindi via con gli zaini in spalla lungo la valle del Khumbu, fino a raggiungere le pendici dell’Everest. Con lui l’amico e guida Luca Montanari. Insieme effettueranno le consuete rotazioni di acclimatazione, quindi attaccheranno la vetta. L’obiettivo è una salita senza ossigeno. “Nessun italiano con pluri-amputazioni ha mai tentato una scalata sopra gli 8000 metri, sarò il primo a raggiungere questo obiettivo”. Andrea ha infatti subito l’amputazione di entrambe le gambe e di sette dita di mani e piedi in seguito a una meningite con sepsi meningococcica.

 
Andrea, cosa ti ha spinto verso l’Everest?
È una sfida personale nata poco tempo dopo la malattia, quando ho ripreso ad andare in montagna. Prima non ci avevo mai pensato.

 
Amici, genitori e fidanzata come hanno preso questa tua sfida?
A parte mia mamma, che dice sempre “ma che ci vai a fare?”, tutti gli altri bene. La montagna è molto distante dal suo mondo. Ricordo che una volta, in ospedale, mi ha detto che sarei tornato a casa e che avrei dovuto affrontare una percorso difficile, ma che sicuramente non sarei riuscito a tornare in montagna. Lo diceva per proteggermi, ma la mia risposta fu subito secca. “E chi te l’ha detto?”.

 
Alla provocazione hai già risposto con il Chimborazo, con il Monte Bianco e ancora di più con i progetti “From 0 to 0”. Ora “che ci vai a fare” sull’Everest?
Perché penso che sia possibile, per me, e mi sento in grado di realizzare la salita. Perché è un sogno che coltivo da anni e che finalmente va a concretizzarsi.

 
Non hai mai pensato che qualcosa potesse essere impossibile per un atleta nelle tue condizioni?
Non penso mai all’impossibile, al massimo penso di non essere pronto a qualcosa. Questo vale per tutti gli atleti. Non mi è mai passato nella mente di dire “quello non lo faccio perché ho le protesi”. Al massimo penso che mi devo preparare meglio di un normodotato, che devo prestare attenzione ad altre cose. Ma tutto è possibile se si lavora e ci si mette d’impegno.

 
A proposito, salirai con le protesi?
Si, fin da subito ho sempre scalato con le protesi. E quando avrò la tuta d’alta quota addosso sfido tutti a capire se ho le gambe oppure no. Al massimo qualcuno potrebbe rimanere stupito dal vedere che ho le scarpe da trail a ottomila metri. (ride)

 
Per un normodotato quota ottomila significa rischio congelamenti. Nel tuo caso è uguale?
Ovviamente sì, ma a questo si aggiungono altri problemi che potrebbero insorgere ai monconi. Dovrò prestare molta attenzione a bolle, calli, infiammazioni e lividi. È più facile che succeda rispetto ai piedi perché la pelle è costantemente sfregata dal movimento. Dovrò prestare molta attenzione alla sudorazione, in bassa quota, e alla secchezza della pelle in altissima quota. Nel corso degli anni ho sviluppato qualche trucco per contenere la cosa, ma a fine avventura qualche problemino ci sarà sicuramente.

 
Ti sei mai immagino in cima all’Everest?
No, preferisco andare a step. Il mio step per ora è Kathmandu, poi il campo base. Da lì vedrò quando sarò laggiù e potrò dedicarmi esclusivamente alla salita.