Sul Monte Rosa con Fabio Iacchini

Sul Monte Rosa con Fabio Iacchini

Sul Monte Rosa con Fabio Iacchini

Vette e ghiacciai sopra Macugnaga sono un’immensa palestra per escursioni in cui bisogna usare le mani e gli sci. E Fabio "Iak" Iacchini li conosce bene, come alpinista e sciatore.


Più o meno a tutti quelli che bazzicano la montagna, in estate o in inverno, sarà capitato almeno una volta di salire su una delle cime del Monte Rosa. E, molto probabilmente, nel 90 per cento dei casi lo hanno fatto sfruttando gli impianti che salgono da Gressoney o da Alagna, o magari dal lato svizzero. Pochissimi, invece, sono quelli che possono vantare di aver salito il versante est, qualcuno al massimo l’ha percorso in discesa. Il perché è presto detto: la parete che sovrasta la Valle Anzasca è, essenzialmente, la più alta delle Alpi, l’unica con proporzioni himalayane: le cartine parlano di 4 chilometri di larghezza e ben 2.600 metri di dislivello. Al centro troneggia sulla pianura padana una delle discese più ambite dagli sciatori di montagna, il Canalone Marinelli: una linea incredibile che dal Colle Gnifetti - o dalla Punta Zumstein, per i più ambiziosi - si infila nella seraccata centrale fino ad arrivare a Macugnaga, discesa per la prima volta da Sylvain Saudain. In salita, la via più facile è la Cresta Signal, facile per modo di dire visto che è gradata D e l’avvicinamento impone 2.000 metri di dislivello per arrivare al bivacco. Per tutte le altre le difficoltà sono in crescendo, oltre al consueto doppio chilometro verticale per arrivare all’attacco.

Una panoramica del Monte Rosa è indispensabile per raccontare di Fabio Iacchini, uno che queste pareti le conosce a menadito dopo averle percorse in su e in giù innumerevoli volte. Scialpinista, skyrunner delle origini, alpinista, uomo di spedizioni e viaggi in posti lontani e il più delle volte decisamente scomodi: lo Yak è una macchina da montagna a tutto tondo, ma non aspettatevi di vedere in lui un montanaro serio e impostato. Piuttosto, figuratevi una specie di pellerossa dei tempi moderni, con la pelle cotta dal sole e i capelli raccolti alla bell’e meglio in caotici rasta, capace di tirare curve sulla neve con qualsiasi asse gli si metta sotto i piedi. Uno che riesce ad essere tanto concentrato là dove ce n’è bisogno quanto spensierato una volta entrato in rifugio: lo sanno bene le decine (o forse centinaia?) di guide alpine e maestri di sci che almeno una volta lo hanno avuto come Istruttore ai corsi di formazione.

Per molti è un cliché, ma con Fabio si può davvero dire che è nato con la montagna nel sangue: il padre era Guida alpina e il nonno pure, oltre ad aver preso parte alle Olimpiadi negli anni ’30 nelle gare di fondo. Diventato subito maestro di sci, la sua storia d’amore con Macugnaga e il Monte Rosa lo ha portato neo maggiorenne a un primo appuntamento mica da ridere: la discesa del Marinelli a soli 18 anni. Negli anni seguenti non si è fatto mancare nulla, dalle gare di skialp agli esordi dello skyrunning, quando ancora si correva con tute da fondo e scarpe da strada, fino a cominciare con le spedizioni. La prima è stata nel 1993 con i Ragni di Lecco e, tanto per cambiare, Yak non è partito con calma: l’obiettivo era la tuttora irrisolta parete Ovest del Makalu. Poi sono venute la Patagonia, con la salita in giornata del Fitz Roy; la Groenlandia e quello che Fabio ricorda come il viaggio più bello, lo Shisha Pangma, disceso con gli sci; e tante, tantissime altre, tra le quali un numero imprecisato di trasferte in Nepal dove conduce ancora i suoi clienti a provare le emozioni dell’alta quota. E, perché no, concretizzare lì l’allenamento svolto sulla sua parete Est che, insieme al versante italiano del Monte Bianco e pochissimi altri è uno dei luoghi sulle Alpi in cui le ascensioni sono davvero sinonimo di giornate infinite e solitudine, quella solitudine che ora, tra code in funivia e l’obbligo morale di postare ogni momento della giornata sui social, sta venendo un po’ a mancare. «Mi ricordo le prime volte in spedizione, per noi era normale fare una telefonata all’inizio e una alla fine e stop» dice Fabio. I familiari e i parenti più ansiosi potranno non essere d’accordo, ma uno dei motivi per venire da queste parti è proprio la possibilità di stare via per più giorni, spesso senza relazioni recenti delle vie, copertura telefonica e, in generale, quella solitudine selvaggia che sulle Alpi sta diventando sempre più una merce rara.

 

 

PROPOSTE

 

Freetouring e skialp:

  • Colle delle Locce, Punta Grober e Pizzo Bianco: la costiera che unisce queste tre cime è esposta a Nord, perfetta quindi per andare a cercare la polvere utilizzando le pelli dopo aver raggiunto il Ghiacciaio del Belvedere con gli impianti di Macugnaga. Numerose possibilità di discesa partendo dagli spazi aperti in alto e terminando con dei boschi ripidi.
  • Torre di Castelfranco, canali Tyndall e Tuckett: più tranquillo il primo (4.2 E2), più ripido il secondo (5.2 E3). Situati sul lato Sud-Est della valle, questi canali sono due itinerari di medio sviluppo che offrono una vista superba sul Monte Rosa e, dalla cima, anche sul Cervino. Da scegliere con cura il momento della discesa, visto il forte irraggiamento solare.
  • Val Quarazza: una volta frequentata dall’heliski, ora questa valle è una piccola oasi di pace in cui venire a sciare potendo sfruttare più di 1.000 metri di dislivello utili e differenti esposizioni, al prezzo di un avvicinamento più o meno lungo. Anche qui, però, su le antenne: le valanghe sono piuttosto frequenti.
  • Tour del Monte Rosa: si può cominciare questo famoso anello scialpinistico anche da Macugnaga, in particolare dal Passo del Monte Moro, raggiungibile con gli impianti. Da qui, poi, si punta la bussola verso Zermatt o Saas Fe, sfruttando il Bivacco Luino o la Monte Rosa Hütte per i pernottamenti. Altrimenti ci si può dirigere verso le cime dello Stralhorn e del Rimpfischhorn, lungo itinerari di alta montagna generalmente poco frequentati da questo lato.

 

Alpinismo:

  • Cresta Signal (D): divide il versante Est da quello Sud ed è raggiungibile sia da Alagna che da Macugnaga. La Signal è nell’immaginario collettivo una delle Grandes Courses che non dovrebbero assolutamente mancare nel curriculum di un vero alpinista e la scheda tecnica parla per lei: 2.000 metri di avvicinamento per arrivare al Bivacco Resegotti, da cui partire per una cavalcata su misto di oltre 900 metri, fino a sbucare a pochi metri dalla Capanna Margherita, a 4.557 m.
  • Nordend dalla Via Brioschi (TD-): una via d’altri tempi che permette di salire l’imponente parete Est, dormendo al Bivacco Marinelli e sfruttando i contrafforti rocciosi fino ai 4.609 m della Nordend. Pochissime ripetizioni all’anno, tanti metri da macinare in salita e in discesa e la sensazione di stare giocando non più sulle Alpi, ma su una grande montagna dell’Himalaya. Da considerare bene la tempistica: d’estate il caldo può trasformare questa salita in una lapidazione!
  • Nordend dalla Cresta di Santa Caterina (TD+): nel remoto caso in cui la Brioschi non fosse abbastanza, si può sempre provare la Santa Caterina: distanze infinite, passi fino al V+ a 4.000 metri e possibilità di rientro limitate, ma tanta soddisfazione in palio per una via che scorre elegante lungo uno degli angoli più remoti del massiccio del Rosa.


 

Articolo tratto da Skialper
Testo di Federico Ravassard
Foto di Paolo Sartori