Pieroad - Indian Trail

Pieroad - Indian Trail

Pieroad - Il giro del mondo a piedi, passando per l'India

Qual è stata una sfida inaspettata che hai affrontato viaggiando a piedi, e come l’hai superata?

Quando ho iniziato a scrivere queste risposte stavo aspettando il visto per il Pakistan, il collo di bottiglia del giro del mondo a piedi. Da anni pensavo a come superarlo perché il passaggio dal Pakistan al paese successivo, Cina, Afghanistan o Iran, è una zona particolarmente ostica, specialmente spostandosi a piedi. Ci avevo perso decine di  notti e con il tempo sono emersi una decina di scenari, tutti considerando di essere già in Pakistan. Contro qualsiasi i pronostico, invece, il visto per il Pakistan è stato rilasciato per soli 30 giorni, troppo pochi per attraversarlo a piedi. Ho dovuto cambiare itinerario: mi dirigerò a sud verso Surat, un porto sull’Oceano Indiano, e da li mi imbarcherò per l’Oman.

Studiare il percorso è importante, soprattutto se si va a piedi. Recuperare un ritardo spostandosi al ritmo di 45 km al giorno a volte diventa impossibile, dunque è necessario muoversi in anticipo e farsi un’idea di dove si sta andando. Anche così, come nel caso del visto pakistano, rimane qualcosa che non dipende da noi. Non è una scusa per fare a meno di prepararsi e partire allo sbaraglio. Bisogna trovare un equilibrio: ricordare che gli imprevisti, per definizione, non si possono prevedere; ma che con una buona preparazione e un certo grado di flessibilità, si riesce a girare a proprio vantaggio anche una situazione inaspettata.

 

Come sostenitore dell'esplorazione del mondo a piedi, come assicuri che il tuo viaggio sia ecologicamente sostenibile?

Quando manca l’abbondanza ci si abitua a consumare meno, forse il giusto. Si riducono gli sprechi, per esempio di acqua e soprattutto nel deserto: con un paio di litri al giorno si riesce a cucinare, bere e curare l’igiene personale basica. Il fattore logistico porta a diminuire il consumo di carne, perché in assenza di frigorifero non si possono portare alimenti che deperiscono velocemente. Infine, riciclo e riparazione diventano essenziali, spesso bisogna aspettare settimane prima di arrivare in un grosso centro abitato dove rifornirsi di materiali; per questo motivo si impara ad avere cura di ciò che si ha e a trovare soluzioni creative.

In Australia uno dei copertoni di Ezio si squarciò quando mancava un mese all’arrivo in città. Rimediai con un generoso bendaggio di nastro isolante e garza, quella per le ferite, e così conciati riuscimmo a camminare il giorno successivo. Senza troppa speranza, andai a rovistare in una discarica lungo la strada e un con colpo fortuna saltò fuori un copertone delle dimensioni esatte!

Hai assaggiato varie cucine durante i tuoi viaggi. Quale cibo di quale paese ti ha sorpreso di più?

Senza dubbio il “verde”, in Ecuador, un paese sconosciuto sia dai grandi traffici turistici (a parte) che dalla cucina internazionale. Il verde è un tipo di banana che dev’essere cotto per essere consumato, ha un sapore tenue e viene usato come companatico e base di molti piatti. Probabilmente il più inflazionato è il tigrillo: il verde viene bollito, schiacciato e soffritto assieme alle uova, così da prendere un colore arancione - da cui il nome, per via della tigre. Poi si aggiunge formaggio salato, ma c’è chi preferisce i chicharròn, pezzi di grasso e pelle di maiale fritti. Una bomba di sapore ed energia, costo: un euro e cinquanta.

Come affronti le barriere linguistiche, e hai imparato nuove lingue o dialetti durante i tuoi viaggi?

I primi tre anni sono filati lisci tra inglese e spagnolo, è divertente imparare qualche espressione nei dialetti locali per personalizzare la comunicazione. In India sono sorte le prime, consistenti difficoltà. Nessuna relazione con le lingue conosciute e, a sorpresa, persino il linguaggio dei segni è cambiato. Gli Indiani scuotono la testa continuamente, quindi “si”, “no”, e il cenno di saluto che si fa con il capo vengono mescolati e già introdursi diventa complicato.

Tuttavia quello che spiazza è capire che oltre alle parole abbiamo anche modi diversi di pensare, dunque di comunicare: imparare qualche frase o usare un traduttore automatico hanno una praticità estremamente limitata. Dico “spiazza” perché all’inizio sono rimasto sbalordito dalla distanza che percepivo tentando di capire una persona in India e farmi capire. I percorsi logici sono diversi, dunque per arrivare a chiedere qualcosa che l’altro non sa, il ragionamento che hai sempre usato ed ha sempre funzionato stavolta è inutile - e devi capire che lo è senza che l’altro te lo dica.

In alcuni casi è stato impossibile persino chiedere di piantare la tenda indicando il posto di fronte a noi. Pure un sorriso, che pensavo facesse parte di un linguaggio universale, aveva perso la capacità di parlare.

 

Puoi condividere una storia in cui il modo di vivere di una comunità locale ha avuto un impatto profondo sulla tua prospettiva o filosofia di viaggio?

In Europa siamo abituati a grandi monumenti: cattedrali, castelli, acquedotti. In Ecuador, Perù e Bolivia sopravvivono le vestigia degli Inca e dei popoli che li hanno preceduti, Macchu Picchu è l’esempio più famoso ma un altro lavoro impressionante è il Qapaq Nan, il sistema di strade usato dai messaggeri del sovrano, migliaia di km su e giù per le Ande. L’impero inca si estendeva grossomodo fino a Santiago del Cile, a sud, dove la resistenza Mapuche pose un freno decisivo. Qui comincia il cambio di prospettiva.

I Mapuche hanno vissuto nella Valle Centrale cilena per centinaia di anni, eppure non hanno eretto alcun monumento. Perché? Perché per loro la natura era la meraviglia più bella e non valeva la pena liberarsene per far spazio a edifici imponenti. Boschi, fiumi e cascate divennero i loro santuari, siti da proteggere e custodire. In quella parte di Cile sopravvivono specie vegetali antiche come l’Araucaria; e sono stati trovati gli alberi più vecchi del mondo, degli Alerce da 5000 anni, rettificando il primato delle sequoie statunitensi. Come sarebbe stato il paesaggio europeo se i nostri antenati avessero avuto lo stesso sguardo?

Come bilanci l'uso della tecnologia per condividere il tuo viaggio con il desiderio di essere completamente presente?

È un lavoro di equilibrio. Da quando sono in India, con connessione stabile, la questione s’è fatta delicata. Ho provato a lasciar sfumati i tempi di utilizzo, ma non ha funzionato. Mi trovo meglio stabilendo delle condizioni d’uso, per esempio evitare di guardare il telefono durante i tempi morti. La tecnologia serve a uno scopo, ogni tanto serve ripeterlo e ricordare in che modo farne uso per arrivare a quell’obiettivo. Nel mio caso, raccogliere informazioni, condividere il cammino e comunicare con amici e parenti. Niente altro. Se devo cazzeggiare lo faccio, ma non sul telefono. In questo modo l’uso si riduce all’indispensabile o poco più e si riesce a passare più tempo guardandosi attorno.

 

Oltre alle destinazioni geografiche, ci sono esperienze specifiche o obiettivi personali che miri a raggiungere nei tuoi futuri viaggi?

Un giorno tornerò in America Latina per reincontrare le persone conosciute durante il cammino. Un amico dell’università ha dato vita a una minuscola comunità nella Foresta Amazzonica. Vorrei andare a dargli una mano, vivere per un periodo con un ritmo diverso, senza desideri. Ma il sogno più grande è scrivere un libro sul giro del mondo a piedi. È l’unica certezza di quando tornerò.

 

Che consiglio daresti a qualcuno che sogna di intraprendere un viaggio simile, ma si sente esitante o incerto sul fare il primo passo?

Leggere è il primo viaggio della vita, la corsa sfrenata e impossibile della fantasia. Direi di iniziare dai libri, leggendo di persone che hanno fatto cose simili a quello che si sogna. Farsi trasportare, ma anche capire se è quello che si vuole per davvero. Spesso desideriamo cose che non ci appartengono solo perché sono di moda e vengono vendute in modo allettante. Trent’anni fa viaggiare era un modo insolito di investire tempo e soldi, oggi è diventato uno status symbol.

Consiglio di parlare con persone che hanno fatto esperienza, provare a immedesimarsi nelle difficoltà, soprattutto. Poi arriva un momento in cui bisogna buttarsi, quando ci si sente preparati. Pronti non lo si sarà mai, perché il viaggio vero ti cambia e il cambiamento scardina ciò che pensavi di te e del mondo. Se accetti l’idea che possa succedere, allora parti.

 

India: un paese dalle mille sfaccettature, in una frase com'è stato attraversarlo a piedi?

È stato come vedere un film a cielo aperto messo in scena all’insaputa degli attori.

Ho attraversato solo alcune regioni del nord dell’India, fossi stato altrove la proiezione sarebbe stata diversa. Però qualcosa suggerisce che in qualsiasi angolo, in ogni momento, stia avvenendo qualcosa di antico e, per questo, raro.

Quali sono i consigli per chi si avventura in un'impresa simile in questo paese, da tenere assolutamente presente?

Prima i consigli tecnici, quelli facili. I locali non usano carta igienica, pertanto fatene scorta nelle grandi città. Bere esclusivamente acqua in bottiglia, i filtri meccanici non rendono potabile quella di rubinetto né dei pozzi. Se state tanto per strada, abituatevi rapidamente ai clacson nei timpani. Abituatevi in fretta anche agli sguardi inquisitori. Diversi hotel e guesthouse non accettano stranieri perché serve un modulo apposito per registrarli; dimenticate il free camping, c’è gente ovunque e ogni volta che vi fermerete verrete assaliti da una folla di curiosi. In quattro mesi sono riuscito a farlo solo tre volte, nascondendomi tra i cespugli o in una foresta. Potete contrattare su tutto, anche quando i prezzi sono scritti; negozianti e venditori ambulanti vi chiederanno almeno il doppio di ciò che pagherebbe un locale.
Consigli generali, diciamo di approccio, sono di mantenere la calma e cercare di lasciar andare. Gli incontri, soprattutto per strada, funzionano diversamente. Vi troverete a perdere la pazienza ogni cinque minuti se vi mettete sulla difensiva. Lasciate correre, non prendetela sul personale ma siate decisi, altrimenti verrete sopraffatti. La gente non si vergogna a sbattervi in faccia la miseria né a far leva sulla vostra pietà. Armatevi di taccuino e prendete nota di tutto ciò che trovate strano, fuori luogo, magico o tragico. I riti sono ancora potenti e vivi e abbondanti. Riempite bene gli occhi.

 

Quali sono le cose che ti hanno colpito maggiormente? Paesaggi, persone, aspetti culturali?

La quantità di gente è delirante. A ogni ora c’è qualcuno in giro, che sia in città o per le campagne. Appena ti fermi vieni circondato da una folla di curiosi che annulla la distanza fisica, ti tocca, ti fissa, senza curarsi di come potresti sentirti. Mi avevano detto sarebbe successo ma non pensavo fosse così forte. A tratti, l’ho trovato violento. Arrivare dal deserto sicuramente non ha aiutato, è stato un cambio di prospettive drastico.

Di pari passo, con silenziosa complicità, stanno gli animali liberi: le onnipresenti vacche e le bufale d’acqua, cani randagi, babbuini e macachi, capre in quantità, qualche pecora, maiali selvatici, cavalli, asini, dromedari nelle regioni desertiche. È confortante constatare che la massiccia presenza umana non abbia sradicato le altre forme di vita. Persone e animali convivono con serenità, senza darsi peso.

L’approccio a una cultura tanto ricca è la porta a un mondo ulteriore. Bisogna venire qui per rendersi conto che c’è davvero dell’altro oltre a ciò che pensiamo di conoscere. La vita è vissuta diversamente, con altri orizzonti, e distinte sono le chiavi di lettura della realtà.

Ad ogni modo, ricordo di aver attraversato una minima parte del microcosmo indiano, le regioni della NordPianura, e in un tempo tutto sommato breve, appena quattro mesi. Avessi vissuto altre zone, probabilmente avrei ricordi diversi.



I prossimi step? E come li affronterai?

Sono in cammino per la città di Surat, 1100 chilometri da Delhi. Conto di arrivarci per fine febbraio, sfruttando il tempo rimasto sul visto. Mi imbarcherò poi per l’Oman, pregando di trovare persone gentili all’accettazione: Ezio è sempre un terno al lotto.

Da Muscat, capitale dell’Oman, comincerà la risalita della penisola araba: monti Al-Hajar, deserto costiero arabico, Kuwait. Dopo un breve transito in Iraq, la catena degli Zagros, in Iran. Questi i prossimi sei mesi. Bisogna dirlo, visti permettendo.