Pieroad - Outback Desert

Pieroad - Outback Desert

Pieroad - Outback Desert by feet

NUOVO CAPITOLO AUSTRALIANO DEL GIRO DEL MONDO A PIEDI DI PIEROAD

A Lyndhurst ho trovato un posto dove campeggiare, una sorta di parchetto con bagni puliti, barbecue elettrico e persino un campo da tennis - le racchette si trovano nella baracca di alluminio che funge da cucina. La tenda guarda gli onnipresenti alberi di eucalipto che schermano il playground dai rumori della strada, la Mid Western Highway. Il continente è cambiato dall’ultima volta, i nomi ora sono in inglese, ci avete fatto caso? Dopo aver attraversato l’America Latina da nord a sud è arrivato il momento di voltare pagina. Il presente capitolo è scritto in rosso, il colore del deserto che si dilata nel cuore di questo Paese. Avete capito dove ci troviamo? Il cammino continua nella terra dei canguri… Australia!



Sono passati quasi tre anni da quando ho lasciato casa in compagnia di Ezio, il mio passeggino, per fare il giro del mondo a piedi. Da allora abbiamo camminato per migliaia di chilometri tra Europa e Sudamerica, fin quando la terra sotto le scarpe si è consumata nell’Oceano. Da pochi giorni siamo giunti in Australia e dopo una sosta tecnica a Sydney siamo partiti guardando a occidente e al sole che tramonta. Obiettivo: attraversare l’Outback, il famigerato deserto color ruggine che copre l’ottanta per cento della superficie del Paese.

Considerate che l’Australia, da sola, è grande quasi quanto l’Europa. Il suo deserto è immenso e per estensione è secondo solo a quello del Sahara. Cinquemila chilometri e sei mesi per attraversarlo: il limite del visto e la durata della stagione invernale mettono una certa pressione sulla camminata. Impensabile percorrerlo in estate, non riuscirei a trasportare acqua a sufficienza.

 



THE OUTBACK

 

Per studiarlo meglio e affrontarlo con calma, ho diviso il cammino in tre sezioni: da Sydney ad Adelaide, direzione ovest; poi un angolo di novanta gradi e rotta su Darwin, estremità nord, con centinaia di chilometri in autonomia garantiti da Ezio per arrivare sulle sponde dell’Oceano Indiano. Nel mentre, un passaggio fondamentale al centro del deserto, il red center: il monolite di Uluru. È una montagna sacra agli Aborigeni australiani, forse il luogo più importante delle loro canzoni. L’ho conosciuto anni fa mentre lavoravo qui e quando me ne sono andato ho ripromesso a me stesso che sarei tornato a vederlo. Da quella promessa sono passati sette anni. E ora, finalmente, è il momento di tornare.

 

Descritta così, sembra facile. Le distanze tra i centri abitati dell’Outback, tuttavia, sono considerevoli. Tra Adelaide e Uluru ci vorranno fino a cinque giorni tra un rifornimento e il successivo e da Uluru a Darwin le distanze si allungheranno a 300 km e oltre. In alcuni casi starò otto o nove giorni senza passare per alcun villaggio. Dovrò fare bene i calcoli con acqua e cibo e mi serviranno proteine e grassi in quantità visto quello che consumerò camminando. Qualche soluzione è offerta dai cibi disidratati, costosi ma efficienti, mentre per i grassi per il momento ho solo un’idea in mente: panette di burro. Le temperature dovrebbero consentire di portarle e consevarle fuori refrigerazione.

 

La logistica è una sfida difficile, ma non è l’unica. Dovrò prestare attenzione agli animai selvatici, in particolare scorpioni e serpenti velenosi come il famigerato brown snake, dal morso letale. Mettere la tenda, togliere il campo e persino andare in bagno sono azioni che richiederanno un’occhio extra. Dato che siamo in inverno, le ore di luce saranno poche, e tra giugno e luglio scenderanno ad appena una decina. Considerando che il cammino dura 8/9 ore, resterà poco tempo per trovare un luogo adatto a campeggiare e sistemarmi prima che la mancanza di visibilità renda pericoloso avventurarsi lontano dalla strada. La concentrazione sarà alta per diversi mesi, senza vere pause per rilassare i nervi.

 

 

SETUP DESERTO

 

Lyndhurst, day-8. La Manaslu 2 campeggia orgogliosa sul prato tagliato all’inglese mentre io scrivo accucciato su una panchina in alluminio. Questo modello di tenda mi accompagna dal Perù, qualcosa come diecimila chilometri fa. Ormai so montarla a occhi chiusi. Dentro il catino giace composta una camera di hotel senza indirizzo. A destra, il materassino autogonfiante è pronto a ricevermi, alto abbastanza da separare il corpo dal suolo anche quando sono girato sul fianco; le ossa del bacino non toccano mai il pavimento. Un fagotto di vestiti funge da cuscino mentre il sacco a pelo è aperto, a prendere aria. La sera mi imbacucco nella sua sagoma quadrata e soffice perchè nonostante siamo ancora in campagna l’escursione termica giornaliera è considerevole e le notti sono fresche. So che nel deserto non patirò freddo, il sacco a pelo è rodato dalle notti patagoniche nell’estremo sud di Cile e Argentina. Dal lato opposto al letto si trovano colazione - un mix di avena, cacao e latte in polvere - frontale e zainetto di preziosi, con diari, telefono e soldi.

 

Ezio dorme fuori, in piedi come i cavalli. Lo sento pesante come poche volte, eppure carica solo una quindicina di kg tra acqua e cibo. Devono essere le nuove componenti dell’equipaggiamento a gravare sulla sua pancia e le mie braccia. Faccio mente locale, cosa potrebbe essere? C’è un caricabatterie solare preso apposta per il deserto, ma sta in tenda con me. Kit contro il morso di serpente? Pesa niente. Kit di riparazione? Sempre il solito: tre camere d’aria da 16” e tre da 20”, toppe e colla per gomma, schiuma per i fori, pompetta e quegli aggeggini di plastica per far saltare la camera d’aria dalla ruota. Nulla di nuovo neanche per la cucina. Un paio di bombole di gas da 450 grammi, una bottiglia di benzina bianca scovata nel reparto vernici di un megastore, cucine relative, pentola e paravento pieghevole.

 

Saranno forse i vestiti? Undici paia di calzini sembrano tante, ma nel deserto farò fatica a lavarli e preferisco cambiarli ogni giorno visto quanto cammino - 40 km di media. Grazie alla Ferrino ho un guardaroba per ogni evenienza. Maglia tecnica e pantaloni leggeri per il caldo, appena il sole comincia a battere cucio le estremità al ginocchio e da shorts diventano lunghi. Sembra un controsenso, tuttavia così sono protetto dalle radiazioni solari, che in Australia sono particolarmente aggressive. E poi provate a dormire senza poter togliere dalla pelle la pellicola appiccicaticcia formata da crema solare, polvere e sudore! Mica posso farmi la doccia tutti i giorni! Appena scende la sera indosso una giacca leggera, mentre per le notti più fredde ho un paio di pantaloni e una giacca pesante che servono anche da completo impermeabile. Con cinque capi potrei andare ovunque… E in effetti lo sto facendo. Dal deserto di Atacama alla punta meridionale della Patagonia, dall’assolata Sydney alle brumose Blue Mountains, fino all’Outback e oltre con appena due chili di vestiti. No, nemmeno loro sono i rersponsabili delle spalle affaticate.

 


UN MATE FUMANTE

La risposta, in realtà, la conosco. I colpevoli sono i grammi, eh si, i grammi di troppo. Un paio di calze in più, una camera d’aria extra che nel deserto non si sa mai, una borraccia che prima non c’era perchè con l’acqua meglio abbondare… Si fa presto ad andare su con il peso, proprio come succede con lo zaino. Ezio può portare fino a cinquanta kg e questo mi fa rilassare tanto da infilarci dentro qualche cosa di troppo rispetto allo stretto necessario, lo so. D’altronde porto tutto con me, un po’ perché non si sa mai, un po’ perché il giro del mondo a piedi penso duri cinque anni e hai voglia a comprare e lasciare pezzi per strada ogni volta che cambio stagione. Sistemo ciò che non uso nel livello più basso del passeggino e lo muro con ciò che uso con maggior frequenza, in alto e davanti gli oggetti di uso quotidiano e il cibo.

 

Mi fermo a riflettere sorseggiando un mate bollente, cimelio dalla Patagonia. Peso extra anche lui e il mezzo chilo di yerba mate stipato nel passeggino. Sorrido. Il mate, come poche altre cose in questo viaggio, è completamente inutile, ma forse per questo è uno degli oggetti che amo di più. Lo porto con me perché ricorda di un periodo meraviglioso fatto di conversazioni dietro a stufe che bruciano legna e persone che riescono a prendersi una pausa per assaporare il momento che stanno vivendo. Bere mate è come meditare, si vive il qui e ora celebrando con pazienza il rito che si compie. Il mate è bello… Perchè è lento. Questo è il messaggio che ho colto camminando così tanto tempo. Bello è lento.

 

Tiro un sospiro, palleggio il thermos meditabondo e verso dell’altra acqua calda nella piccola tazza gialla che funge da mate, lasciando cadere il rivolo a filo della cannula di metallo come mi hanno insegnato gli amici del Cile. Ho un mese per arrivare ad Adelaide e chiudere il primo tratto australiano, le prove generali per l’Outback. Quando arriverò in città avrò ancora un paio di centina di km prima di lasciare l’asfalto e avventurarmi sull’Oodnadatta track alla volta del cuore del deserto. Due mesi per inoltrarmi, altri due per emergere e vedere chi esce dallo specchio. C’è tempo, mi dico… Goditi questo mate e rimettiti in strada.