Alice Modignani - il godimento della corsa

Alice Modignani - il godimento della corsa

Alice Modignani - Il godimento della corsa

Dallo sterrato all’asfalto, dagli ultra trail alle 24 ore, Alice Modignani Fasoli racconta la sua “passione ultra”

 

Poche settimane fa ha spadroneggiato alla 24 ore di Biella. Una gara di corsa in cui si corre per 24 ore su un circuito di un chilometro. “Serve più testa che allenamento” commenta subito Alice Modignani Fasoli. E lei, ne ha parecchia.

Piemontese, classe 1977, nelle gambe ha due UTMB e quattro Tor des Géants, oltre alla Marathon Des Sables e ai migliaia di chilometri percorsi in allenamento sulle montagne di casa. “La 24 ore è stata una bella preparazione per una gara su asfalto che ho in programma a fine maggio” spiega. “Sono anni che voglio farla, ora finalmente si sta concretizzando”.

 

Alice, di che gara parli?

Preferisco non dirlo per ora, per scaramanzia. L’ho aspettata per così tanto tempo che prima voglio assaporarla e dopo parlarne.

 

Va bene. Parliamo invece della 24 ore, che posizione hai conquistato?

Prima donna e seconda assoluta. Mi sono allenata tanto e i risultati sono arrivati.

 

Come funziona una 24 ore?

Hai un circuito ad anello di un chilometro e su questo corri per 24 ore, non-stop. Dopo ogni chilometro puoi fermarti a prendere qualcosa da mangiare e da bere. Per il resto, corri.

 

In totale quanti chilometri hai percorso?

207 chilometri e 650 metri.

 

Sono tantissimi… com’è stato a livello fisico e mentale ripetere all’infinito lo stesso circuito?

Le prime 12 ore sono andate bene, sia come ritmo che come chilometri percorsi. Poi c’è stato lo sbalzo termico tra giorno e notte che ha influito non poco sulla prestazione. C’è stato uno sbalzo di 20 gradi che ha fatto soffrire molti, una notte veramente lunga e lenta. Ci sono stati molti ritiri in quel frangente poi, per fortuna, è arrivato il sole.

 

Gli anni di ultra trail ti hanno aiutata a non arrenderti?

Io sono fatta così. Voglio arrivare in fondo, piuttosto ultima ma voglio arrivare. Un ragionamento assurdo in una 24 ore, che è un ambiente totalmente diverso da quello del trail.

 

In che senso?

Quando partecipi a un trail, come il Tor, vuoi chiuderlo, vuoi arrivare alla fine. È diverso da dire voglio arrivare alla fine della 24 ore. Non c’è un punto di arrivo, ma solo un tempo. Ti debilità fisicamente e mentalmente. Io però volevo chiudere le 24 ore.

 

Alla fine ci sei riuscita, e anche bene…

Si, avevo molti chilometri di vantaggio accumulati nelle prime 12 ore e questo mi ha permesso di gestire al meglio la seconda parte, dove la testa iniziava a perdere colpi.

 

Peggio una 24 ore o un Tor?

La 24 ore. Il Tor è un viaggio, ti puoi prendere il tuo tempo, godere del paesaggio. Hai tante cose che ti distraggono. Dall’altra parte richiede una concentrazione enorme e un livello di attenzione sempre altissimo per evitare storte o incidenti. In una 24 ti svuoti, non devi pensare a niente. Corri e basta. Non devi nemmeno guardarti intorno, perché dopo due o tre ore il panorama diventa monotono.

 

Rimaniamo sul Tor, ti rivedremo sui sentieri della Valle d’Aosta?

Ne ho 4 nel cassetto, un altro mi piacerebbe.

Ora però voglio correre senza pensare, per il gusto di farlo.

 

Correre per il gusto di farlo non sembra essere in linea con la sofferenza di un ultra trail…

Prima che iniziassi a correre andavo in bici, poi mi sono resa conto che stavo bene, che ero libera quando correvo. Da lì sono arrivate le prime gare. Il mio primo pettorale l’ho agganciato nel Sahara, per una 100 chilometri. Quando sono tornata ho detto a mia mamma che da quel momento le mie vacanze sarebbero state di corsa.

 

Se è il gusto di correre, perché cercare il pettorale?

Mi piace avere un obiettivo. Io mi alleno quasi tutti i giorni, ma del Tor ricordo l’emozione. Sono andata anche l’anno in cui si è corso a causa della pandemia. Ho corso alcuni pezzi di sentiero per stare in zona e rivivere quelle sensazioni che solo il Tor sa regalare. È da questo punto che si sviluppa lo spirito agonistico e la voglia di mettere un pettorale. Un modo per dire “voglio godermi quell’esperienza al massimo delle mie capacità”.