Patagonia 2023: Matteo Della Bordella racconta il suo nuovo viaggio fra le montagne alla fine del Mondo

Patagonia 2023: Matteo Della Bordella racconta il suo nuovo viaggio fra le montagne alla fine del Mondo

Patagonia 2023: Matteo Della Bordella

Il 2023 per Matteo Della Bordella, si è aperto con una nuova spedizione fra le montagne della Patagonia.

Queste cime difficili e meravigliose, caratterizzate grandi pareti di granito rosso fuoco che si innalzano all'estremo sud del continente americano e dove l'arrampicata tecnica in ambiente può essere spinta ai massimi livelli, sono divenute ormai la sua seconda casa.

È infatti la dodicesima volta che Della Bordella fa ritorno in Patagonia, per inseguire i grandi sogni che hanno fatto di lui uno dei massimi esperti contemporanei di queste vette, con salite come la prima ascensione dell'inviolata parete ovest della Torre Egger (completata nel 2013 assieme agli amici Matteo Bernasconi e Luca Schiera) o la recente prima salita in stile salpino della parete est del Cerro Torre, dove Matteo, in cordata con David Bacci e Matteo De Zaiacomo, ha tracciato nell'estate australe del 2022 la via Brothers in Arms, dedicata allo sfortunato Corrado Pesce, fortissimo scalatore ucciso da una slavina proprio dopo aver raggiunto in contemporanea con loro la vetta del Torre.

Sono montagne volubili quelle della Patagonia, dove non basta essere bravi e preparati per riuscire a realizzare i propri obiettivi. Qui, ad avere l'ultima parola sono sempre il vento e le tempeste che giungono incessanti e violente dall'Oceano Pacifico, ad ovest, e decidono il destino di ogni spedizione. Il famigerato "mal tiempo" fa parte del mito e anche del fascino di questa terra e la stagione appena conclusa, sotto questo aspetto, è stata degna della miglior tradizione patagonica.

"Quest'anno ho potuto dedicare ben tre mesi alla spedizione - racconta Matteo - ma nella seconda metà del mio soggiornoil meteo è stato costantemente brutto e, anche nel primo mese e mezzo, le finestre di bel tempo sono sempre state troppo ridotte per poter portare a termine i progetti con cui io e il mio compagno Leonardo Gheza eravamo partiti. Quindi, come l'esperienza ci ha insegnato, abbiamo dovuto adattarci e improvvisare, accettando le opportunità che la Patagonia ci metteva a disposizione e puntando tutto sulla velocità".

L'occasione di "scaldare i motori" per Matteo e il suo compagno è arrivata proprio a pochi giorni dal loro arrivo, con una prima breve finestra di due giorni, della quale hanno approfittato per aprire una nuova via sulla parete est dell'Aguja Mermoz (2732 m), nel gruppo del Fitz Roy.

Ricorda Matteo: "Pur essendo una cima "minore" rispetto al gigantesco Fitz Roy che le sta accanto, la Mermoz, soprattutto sul versante orientale, offre una bellissima parete di almeno 500 metri di dislivello, molto verticale e solcata diversi sistemi di fessure. Era un obiettivo a cui pensavo da tempo, anche perché sulla parete fino ad oggi c'erano solo altre due vie: la celebre e bellissima Pilar Rojo e quella aperta da Casimiro Ferrari nel 1995. Questa ci è sembrata l'occasione giusta per andare a curiosare!".

 

Ai due scalatori italiani si è unito il fuoriclasse belga Sean Villanueva e i tre, con 12 ore di scalata, sono riusciti ad aprire la loro nuova via: un'impegnativa e faticosa ascensione in fessura, portata a termine in completa arrampicata libera e senza spit, con difficoltà che arrivano fino al 7b. Dopo uno splendido tramonto sulla vetta, accompagnato dal suono del flauto che Sean porta con sé in ogni scalata, i tre hanno cominciato la discesa in corda doppia lungo la via Pilar Rojo, rientrando giusto in tempo per l'arrivo dell'attesa perturbazione...

 

Dopo questa prima salita di "riscaldamento" Della Bordella e Gheza hanno potuto cominciare a focalizzarsi su uno degli obiettivi con cui erano partiti: la traversata integrale di tutte le cime del gruppo del Fitz Roy, una cavalcata infinita di oltre 4000 metri di dislivello positivo su difficoltà sempre elevatissime, che, sino ad oggi, è stata portata a termine solo due volte: i primi a compiere il traverso in direzione nord-sud sono stati infatti gli americani Tommy Caldwell e Alex Honnold nel 2014. Autore della traversata in senso opposto è stato invece lo stesso Villanueva, nel 2022, con una meravigliosa impresa solitaria.

"Una volta rientrati dalla Mermoz le previsioni davano una nuova e più ampia finestra di bel tempo, anche se non era chiaro quanto sarebbe durata - prosegue Matteo - sapevamo che quella avrebbe potuto essere l'unica nostra occasione, quindi, dopo qualche giorno di riposo a El Chalten, siamo immediatamente ripartiti. La nostra previsione era di impiegare almeno cinque giorni per completare la traversata. La prima difficoltà, quindi, è stata quella di centellinare i carichi nei nostri zaini, per avere sufficienti viveri e attrezzature senza appesantirci eccessivamente, viste le difficoltà che dovevamo affrontare. In questa delicata fase di preparazione ancora una volta è stato utilissimo il supporto di Ferrino, che ci ha messo a disposizione la sua tenda monotelo da alta quota modello Blizzard. Un prodotto che l’azienda torinese ha ulteriormente migliorato e modificato per venire incontro alle nostre esigenze, rendendolo ancora più leggero. Con me avevo anche lo zaino Instinct da 45 litri, che ho già avuto modo di apprezzare: è sufficientemente capiente per trasportare i carichi delle scalate di più giorni e, grazie al fascione rimovibile, risulta molto comodo anche durante la scalata".

 

Il 16 gennaio, dopo aver raggiunto il Passo Guillaumet, Matteo e Leo hanno dato il via alla loro grande course con una tecnica poco ortodossa rispetto alle normali regole della progressione in cordata, ma che rappresenta l'unico modo per poter realizzare obiettivi di questo tipo, come spiega lo stesso Matteo: "Abbiamo deciso di salire in continuità, muovendoci sempre in contemporanea lungo la parete, senza mai attrezzare punti di sosta. Io sono stato davanti fino alla cima della Guillaumet, poi è passato in testa Leo, fino a raggiungere la vetta della Mermoz. Ci abbiamo messo solo sei ore per arrivare fino a lì. La progressione in conserva su terreni così difficili è una tecnica che richiede grande esperienza e massima fiducia nelle proprie capacità e in quelle del compagno, ma è l’unico modo per affrontare salite così lunghe, dove la sicurezza è data anche dalla velocità con cui si riesce a progredire”.

La prima giornata di scalata è proseguita per altre cinque ore sul filo di cresta, fino al “Bloque empotrado”, l’enorme masso incastrato da cui si accede al pilastro del Fitz Roy.

Dopo il bivacco Matteo e Leonardo sono partiti da lì per affrontare uno dei tratti più impegnativi del traverso, rappresentato dalla mitica via aperta in solitaria nel 1979 dal grande Renato Casarotto: “Anche qui siamo partiti in conserva – racconta ancora Matteo – ma dopo qualche centinaio di metri abbiamo dovuto cominciare a salire a tiri di corda. Le difficoltà di questo itinerario sono decisamente superiori a quelle dichiarate sulle guide e ripercorrerlo ha aumentato ulteriormente la mia stima e ammirazione per Casarotto, che in quegli anni e da solo ha saputo realizzare una salita decisamente futuristica!”.

Dopo un secondo bivacco sulla cima del pilastro i due scalatori hanno raggiunto finalmente anche la vetta del Fitz, ma lì li ha raggiunti via radio una brutta notizia: la finestra di bel tempo si stava già chiudendo e una nuova perturbazione era già alle porte.

Con ancora tante altre cime da concatenare (la traversata completa del gruppo del Fitz prevede anche la salita dell Aguja Poincenot, Aguja Rafael Juarez, Aguja Saint-Exupery e dell’Aguja De la S) Matteo e Leonardo hanno preferito interrompere la salita, scendendo in doppia dalla via Franco-argentina.

“Dopo questo tentativo la Patagonia non ci ha più concesso opportunità per riprovare il traverso – conclude Della Bordella – nelle settimane successive il tempo è stato quasi costantemente brutto, anche se in un breve intervallo fra le perturbazioni sono comunque riuscito a ripetere in completa arrampicata libera con Kico Cerdá la via Rayo de luz, un bellissimo itinerario sulla parete ovest dell’Aguja Guillaumet”.

Questa nuova trasferta Patagonica ha lasciato a Matteo ricordi e spunti di riflessione che vanno anche al di là del contesto puramente alpinistico: “Le previsioni meteo estremamente affidabili che abbiamo a disposizione oggi consentono di sfruttare al meglio anche i brevi intervalli di bel tempo e di muoversi con più sicurezza riuscendo ad evitare di trovarsi in parete nel bel mezzo delle famigerate tempeste Patagoniche. Purtroppo però i cambiamenti climatici espongono gli scalatori a nuovi pericoli: nei dodici anni da quando frequento la Patagonia ho visto le condizioni dei suoi ghiacciai e delle sue pareti cambiare radicalmente, rendendo spesso estremamente rischiosi itinerari un tempo sicuri. Le alte temperature di questa stagione, ad esempio, hanno trasformato la discesa dal Fitz Roy, che avevo percorso più volte negli anni passati e che questa volta si è rivelata particolarmente pericolosa ed esposta costantemente alla caduta di pietre e ghiaccio. Purtroppo anche questa terra così potente e selvaggia, apparentemente lontana dal resto del mondo e dai problemi che assillano il nostro quotidiano, risente dell’impatto delle attività umane sull’equilibrio ambientale del pianeta. Sperimentare direttamente questo influsso fa davvero impressione e impone una riflessione sulla necessità impellente di fare qualcosa per cambiare i nostri comportamenti”.