
Pieroad - Welcome to Iran
UN APPROCCIO DA SCEGLIERE
Da dove cominciare per descrivere i due mesi passati in Iran? Mentre mi ci avvicinavo attraversando il deserto del Golfo Persico, ero assalito da un vortice di domande, alcune delle quali tutt’altro che piacevoli. Devono essere le stesse per ogni persona, almeno per ogni occidentale che si mette in viaggio con l’idea di sfatare i miti della Persia moderna.
Cominciavano tutte allo stesso modo: che succede se...? Se mi ferma la polizia? Se qualcuno mi vede campeggiare, di notte e da solo, a margine della strada? Se scoppia la guerra con Israele? La paranoia si alimenta con la disinformazione, e il deserto è il luogo della ridondanza, dove in assenza di altre voci quelle nella testa vengono amplificate e rimbalzano come un’eco da una montagna.
Tuttavia, a sentire i commenti degli storici vicini di casa (Arabi e Iracheni), pareva che attraversare l’Iran a piedi sarebbe stato niente più che una passeggiata. Sembrava potesse essere banale come un esame di maturità, un rito d’iniziazione che alla fine si lascia alle spalle e si ricordano solo i momenti più belli, quelli che riaffiorano ogni volta che ci si ritrova con i vecchi compagni. Le ansie, gli scontri e le paure, una volta superate, vengono invariabilmente ridimensionate dal senno di poi, che ha bisogno dell’esperienza per formarsi.
Varcai dunque il confine iracheno con una buona dose di speranza e mi avviai verso l’Iran.
DISTRICARSI
I primi giorni in un nuovo paese servono a prendere le misure. Sim locale, soldi, prime parole da imparare. Internet funziona solo con una VPN, molte app sono bloccate. Niente carte di pagamento, nemmeno per prelevare: qui si gioca solo cash, e il cambio migliore è quello del mercato nero. Un euro vale seicentomila rial, circa venti volte il tasso ufficiale. L'inflazione in Iran è alle stelle, complice la crisi economica alimentata dalle sanzioni internazionali. Alla frontiera controllano tutto, l'alcol è vietatissimo, siamo in una nazione musulmana.
A Khorramshahr, città di frontiera, notai che ospitare stranieri non era comune. In pochi giorni emerse una caratteristica della società iraniana che rende la quotidianità più flessibile di quanto ci si aspetti: nonostante le regole severe, c'è una certa elasticità nei controlli. Per esempio, Instagram è bloccato, ma ogni negozio espone un adesivo con il tag del proprio profilo, proprio accanto agli orari di apertura.

WELCOME TO IRAN
Cominciai a scoprire il Paese passo dopo passo, con la solita lentezza, e mi stupii delle meraviglie custodite che sembravano dimenticate nei libri di storia. Rimasi affascinato da Shushtar, una città con un sistema idraulico vecchio di duemila anni e ancora funzionante, che fornisce elettricità a metà della popolazione. Uno dei ponti, che funge anche da diga, venne costruito da legionari romani fatti prigionieri in una battaglia contro i Parti. Il sistema di chiuse e canali scavati nella roccia è impressionante, con cascate nella zona dei mulini ad acqua. Era il primo Patrimonio dell'Umanità che visitavo in Iran.
Nonostante l’isolamento politico, questo Paese è parte della convenzione UNESCO. Iniziavo a capire che l'isolamento era più un divorzio con certi Stati che un rifiuto di apertura verso il mondo.
OSPITALITÀ PERSIANA
La cosa più sorprendente era l'ospitalità del popolo iraniano. Ogni volta che incontravo qualcuno, mi accoglievano con grande gentilezza. Le persone erano curiose di vedere uno straniero e bastava annunciare il mio arrivo per essere sommerso da offerte di incontro. Venivo trattato come un ospite d'onore, come parte della famiglia. L'entusiasmo era contagioso: parenti di primo e secondo grado si riunivano per salutarmi, chiedevano foto e video dove salutavo un amico in farsi. E poi ringraziavano, sempre con grandi sorrisi, come se fosse stato un onore incontrarmi.
Una cosa che mi colpì particolarmente fu la totale fiducia che gli iraniani ripongono l'uno nell'altro, soprattutto quando si tratta di denaro. In Iran si mercanteggia spesso, ma non nel modo che ci si potrebbe aspettare: anziché cercare di alzare il prezzo, il venditore spesso cerca di regalarti la merce. Questo comportamento, che ha un nome specifico – *taroof* – è una forma di cortesia radicata nella cultura. E pare che la consuetudine sia di insistere per tre volte prima che il negoziante si arrenda e accetti di essere pagato. A quel punto gli si consegna la carta di pagamento e gli si detta il pin ad alta voce, lasciandolo digitare a lui assieme all’importo. Avete letto bene, il pin della carta di credito viene dettato ad alta voce in un negozio pieno di gente. E non succede niente di più. L’onestà degli Iraniani è fuori da ogni classifica.

EPILOGO - MILLE E UNA STORIA
Allo scadere del primo mese rinnovai il visto in un centro per l’immigrazione. Fu una storia piuttosto movimentata, poiché ci vollero tre tentativi per ottenere l'estensione. Ma come sempre, mi dilungo troppo. Arrivai a Tabriz allo scadere del secondo mese, ma decisi di fermarmi qualche giorno in più. Sei mesi prima, in India, avevo conosciuto due ragazze iraniane e avevamo mantenuto il contatto. Passeggiammo lungo i viali alberati della città, scoprendo la moschea blu e l'antico bazar, l'ultimo Patrimonio dell'Umanità che visitai in Iran.
Tabriz è sempre stata uno snodo cruciale della Via della Seta. Dal nucleo originario di caravanserraglio, si espanse fino a diventare un centro commerciale ante litteram, accogliendo uomini e merci. Anche nel trambusto delle contrattazioni, la voce del muezzin si udiva chiaramente dai minareti.
Tabriz fu la degna conclusione di un percorso straordinario, ma i momenti migliori furono quelli trascorsi in compagnia delle mie amiche iraniane, con una tazza fumante tra le mani – questa volta, però, era caffè turco! Ci promettemmo di rivederci, ma sapevamo che sarebbe stato quasi impossibile: il passaporto iraniano è di scarso valore, e i visti sono difficili da ottenere. Ci accontentammo di un abbraccio e di sogni condivisi.
Con tre giorni rimasti e centocinquanta chilometri per il confine armeno, il cammino nella Persia antica era ormai concluso. In questi mesi ho incontrato popoli diversi, da Arabi devoti a pastori nomadi, da Persiani nostalgici della grandeur imperiale a Kurdi e Turchi. Lungo la strada, cascate, vulcani, laghi salati e montagne divennero compagni silenziosi del viaggio.
Ora, accanto al Cile, anche l’Iran ha preso un posto nel mio cuore: un Paese di immense ricchezze culturali e umane, dove bastano un chai e un tappeto per creare storie degne di Mille e una notte.
Da dove cominciare per descrivere i due mesi passati in Iran? Mentre mi ci avvicinavo attraversando il deserto del Golfo Persico, ero assalito da un vortice di domande, alcune delle quali tutt’altro che piacevoli. Devono essere le stesse per ogni persona, almeno per ogni occidentale che si mette in viaggio con l’idea di sfatare i miti della Persia moderna.
Cominciavano tutte allo stesso modo: che succede se...? Se mi ferma la polizia? Se qualcuno mi vede campeggiare, di notte e da solo, a margine della strada? Se scoppia la guerra con Israele? La paranoia si alimenta con la disinformazione, e il deserto è il luogo della ridondanza, dove in assenza di altre voci quelle nella testa vengono amplificate e rimbalzano come un’eco da una montagna.
Tuttavia, a sentire i commenti degli storici vicini di casa (Arabi e Iracheni), pareva che attraversare l’Iran a piedi sarebbe stato niente più che una passeggiata. Sembrava potesse essere banale come un esame di maturità, un rito d’iniziazione che alla fine si lascia alle spalle e si ricordano solo i momenti più belli, quelli che riaffiorano ogni volta che ci si ritrova con i vecchi compagni. Le ansie, gli scontri e le paure, una volta superate, vengono invariabilmente ridimensionate dal senno di poi, che ha bisogno dell’esperienza per formarsi.
Varcai dunque il confine iracheno con una buona dose di speranza e mi avviai verso l’Iran.

DISTRICARSI
I primi giorni in un nuovo paese servono a prendere le misure. Sim locale, soldi, prime parole da imparare. Internet funziona solo con una VPN, molte app sono bloccate. Niente carte di pagamento, nemmeno per prelevare: qui si gioca solo cash, e il cambio migliore è quello del mercato nero. Un euro vale seicentomila rial, circa venti volte il tasso ufficiale. L'inflazione in Iran è alle stelle, complice la crisi economica alimentata dalle sanzioni internazionali. Alla frontiera controllano tutto, l'alcol è vietatissimo, siamo in una nazione musulmana.
A Khorramshahr, città di frontiera, notai che ospitare stranieri non era comune. In pochi giorni emerse una caratteristica della società iraniana che rende la quotidianità più flessibile di quanto ci si aspetti: nonostante le regole severe, c'è una certa elasticità nei controlli. Per esempio, Instagram è bloccato, ma ogni negozio espone un adesivo con il tag del proprio profilo, proprio accanto agli orari di apertura.

WELCOME TO IRAN
Cominciai a scoprire il Paese passo dopo passo, con la solita lentezza, e mi stupii delle meraviglie custodite che sembravano dimenticate nei libri di storia. Rimasi affascinato da Shushtar, una città con un sistema idraulico vecchio di duemila anni e ancora funzionante, che fornisce elettricità a metà della popolazione. Uno dei ponti, che funge anche da diga, venne costruito da legionari romani fatti prigionieri in una battaglia contro i Parti. Il sistema di chiuse e canali scavati nella roccia è impressionante, con cascate nella zona dei mulini ad acqua. Era il primo Patrimonio dell'Umanità che visitavo in Iran.
Nonostante l’isolamento politico, questo Paese è parte della convenzione UNESCO. Iniziavo a capire che l'isolamento era più un divorzio con certi Stati che un rifiuto di apertura verso il mondo.

OSPITALITÀ PERSIANA
La cosa più sorprendente era l'ospitalità del popolo iraniano. Ogni volta che incontravo qualcuno, mi accoglievano con grande gentilezza. Le persone erano curiose di vedere uno straniero e bastava annunciare il mio arrivo per essere sommerso da offerte di incontro. Venivo trattato come un ospite d'onore, come parte della famiglia. L'entusiasmo era contagioso: parenti di primo e secondo grado si riunivano per salutarmi, chiedevano foto e video dove salutavo un amico in farsi. E poi ringraziavano, sempre con grandi sorrisi, come se fosse stato un onore incontrarmi.
Una cosa che mi colpì particolarmente fu la totale fiducia che gli iraniani ripongono l'uno nell'altro, soprattutto quando si tratta di denaro. In Iran si mercanteggia spesso, ma non nel modo che ci si potrebbe aspettare: anziché cercare di alzare il prezzo, il venditore spesso cerca di regalarti la merce. Questo comportamento, che ha un nome specifico – *taroof* – è una forma di cortesia radicata nella cultura. E pare che la consuetudine sia di insistere per tre volte prima che il negoziante si arrenda e accetti di essere pagato. A quel punto gli si consegna la carta di pagamento e gli si detta il pin ad alta voce, lasciandolo digitare a lui assieme all’importo. Avete letto bene, il pin della carta di credito viene dettato ad alta voce in un negozio pieno di gente. E non succede niente di più. L’onestà degli Iraniani è fuori da ogni classifica.

EPILOGO - MILLE E UNA STORIA
Allo scadere del primo mese rinnovai il visto in un centro per l’immigrazione. Fu una storia piuttosto movimentata, poiché ci vollero tre tentativi per ottenere l'estensione. Ma come sempre, mi dilungo troppo. Arrivai a Tabriz allo scadere del secondo mese, ma decisi di fermarmi qualche giorno in più. Sei mesi prima, in India, avevo conosciuto due ragazze iraniane e avevamo mantenuto il contatto. Passeggiammo lungo i viali alberati della città, scoprendo la moschea blu e l'antico bazar, l'ultimo Patrimonio dell'Umanità che visitai in Iran.
Tabriz è sempre stata uno snodo cruciale della Via della Seta. Dal nucleo originario di caravanserraglio, si espanse fino a diventare un centro commerciale ante litteram, accogliendo uomini e merci. Anche nel trambusto delle contrattazioni, la voce del muezzin si udiva chiaramente dai minareti.
Tabriz fu la degna conclusione di un percorso straordinario, ma i momenti migliori furono quelli trascorsi in compagnia delle mie amiche iraniane, con una tazza fumante tra le mani – questa volta, però, era caffè turco! Ci promettemmo di rivederci, ma sapevamo che sarebbe stato quasi impossibile: il passaporto iraniano è di scarso valore, e i visti sono difficili da ottenere. Ci accontentammo di un abbraccio e di sogni condivisi.
Con tre giorni rimasti e centocinquanta chilometri per il confine armeno, il cammino nella Persia antica era ormai concluso. In questi mesi ho incontrato popoli diversi, da Arabi devoti a pastori nomadi, da Persiani nostalgici della grandeur imperiale a Kurdi e Turchi. Lungo la strada, cascate, vulcani, laghi salati e montagne divennero compagni silenziosi del viaggio.
Ora, accanto al Cile, anche l’Iran ha preso un posto nel mio cuore: un Paese di immense ricchezze culturali e umane, dove bastano un chai e un tappeto per creare storie degne di Mille e una notte.

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