Antonio Di Guida, un nomade su due ruote

Antonio Di Guida, un nomade su due ruote

Antonio Di Guida, un nomade su due ruote

Da più di 10 anni Antonio Di Guida è in viaggio per il mondo. Definirlo turista o viaggiatore sarebbe riduttivo, perché le sue avventure non sono delle "parentesi" nel quotidiano, ma veri e propri pezzi di vita, anche interi anni trascorsi vivendo e lavorando in luoghi lontani, che finiscono per diventare "casa". Insomma, lo si potrebbe definire un vero e proprio nomade su due ruote perché dopo le prime esperienze a piedi e con lo zaino in spalla in Australia e Africa, è salito sui pedali e non ne è più sceso, attraversando  in lungo e in largo l'Asia e l'America del Sud.

Da tempo Ferrino Outdoor è al suo fianco, mettendo a disposizione attrezzature come la tenda Nemesi 2 Pro, che egli stesso definisce come "l'ideale per chi viaggia in bici: una tenda leggerissima, che si può utilizzare con entrambi i teli o solo con la zanzariera interna e che si monta anche senza dover piantare i picchetti".

Lo abbiamo intercettato al rientro dalla sua ultima avventura, un viaggio di tre mesi in Medio Oriente.

Antonio, raccontaci qualcosa di questa recente esperienza...

"Ho viaggiato fra Israele, Palestina, Giordania e Sinai, un pezzo di mondo che ha sempre suscitato il mio interesse, anche per le complesse vicende politiche che lo riguardano, ma di cui, detto fuori dai denti, non ci ho mai capito nulla guardando la cose dall'Italia, attraverso le cronache dei mass media e i libri.

Quindi, quale miglior modo per poter capire quello che sta succedendo se non mettersi in viaggio con la mia bici, per entrare in contatto diretto con quella realtà, incontrare le persone, le famiglie e condividere un pezzetto della loro vita?

Questo viaggio, anche se è durato poco rispetto ai miei standard - le mie visite in Asia, Australia e America ad esempio erano durate anche due anni - è stato pieno di incontri ed esperienze, sia positive che negative, che mi hanno insegnato tantissimo. Mi sono mosso prendendo i contatti con vari progetti di volontariato e credo che questo sia il modo migliore per entrare nel vivo delle realtà locali. Lavoravo per quatto o cinque ore al giorno presso le associazioni, le scuole e le fattorie sociali in cambio di vitto e alloggio, avendo così la possibilità di girare con la mia bici e, soprattutto, di entrare nel quotidiano di quei luoghi e di quelle vite".

 

Cosa ti ha colpito maggiormente in questo incontro diretto con le persone?

"La cosa che mi ha colpito di più è l'umanità straordinaria che ho incontrato. Siamo abituati a pensare al Medio Oriente come un teatro di guerra, un luogo pieno di pericoli e dal quale è meglio stare alla larga.

Io invece mi sono sempre sentito accolto e protetto. È una sensazione che ho già sperimentato viaggiando nei paesi di cultura islamica. Lì si usa dire che l'ospite è sacro, e non sono solo parole!

Quello che si percepisce è un grande calore, voglia di condividere la propria storia, di raccontarsi. Al di là di tutte le possibili differenze e distanze culturali, quando si riesce ad entrare nel quotidiano si incontrano altre persone come noi, che hanno semplicemente l'aspirazione a vivere la propria vita in serenità e felicità e di condividere con gli altri le proprie giornate".

 

Qualcosa di simile lo avevi già sperimentato nel corso del tuo lungo soggiorno in Iran...

Sì, assolutamente, quello poi è stato uno dei viaggi più importanti della mia vita, tanto che ci ho scritto un libro. Al di là di delle voci che circolano, dei reportage e dei messaggi che ci arrivano attraverso i mass media, penso che per conoscere veramente la realtà di paesi diversi dal nostro sia importante proprio avvicinarsi alle persone che ci vivono, o anche a chi abita nel nostro paese provenendo da quei luoghi.

Prima di affrontare un viaggio al di fuori delle classiche mete turistiche è ovvio che sorgano perplessità, paure e pregiudizi, ma non bisogna lasciare che prendano il sopravvento... sarebbe un po' come fasciarsi la testa prima di essere caduti dalla bicicletta!".

 

Parliamo un po' della bici: rappresenta più uno strumento o un fine dei tuoi viaggi?

"La bicicletta per me è un ponte, qualcosa che mi consente di colmare una distanza, sia fisica che emotiva o umana, e di arrivare cogliere un'esperienza di incontro sia con me stesso sia con le persone e i territori.

Un poco alla volta ho imparato che la bicicletta riesce a farmi vivere determinati momenti che in un viaggio con lo zaino in spalla o con i mezzi pubblici non riuscirei mai a sperimentare.

Ad esempio viaggiando a piedi non potrei attraversare per giorni e giorni zone aride dove non si trova cibo ne acqua. Con la bici posso riuscirci per poi magari fare tappa in villaggi sperduti, che da 10 o 15 anni non vedono uno straniero e questa per me è una ricchezza straordinaria. Quello che cerco è proprio l'incontro con questa quotidianità genuina, con una cultura e una tradizione locale non inquinate dal turismo. Una cena a casa di una famiglia, una chiacchierata mentre si cammina insieme per i campi, sono cose preziose, che ti restano dentro e ti cambiano. In uno degli ultimi viaggi mi sono addirittura trovato ad essere ospite del matrimonio di un beduino...

Insomma, ti svegli alla mattina, cominci a pedalare e non hai la più pallida idea di quello che ti potrà capitare e quando arrivi a sera e ti stendi sul materassino ti dici: cavolo, ma che giornata è stata oggi? Ed è sempre così!".

 

Come si fa a gestire viaggi lunghi come i tuoi, anche sotto l'aspetto economico?

"Innanzitutto sgombriamo il campo dal mito secondo cui si può riuscire a viaggiare e farlo per anni anche senza soldi. I soldi servono eccome, ed è per questo che durante i miei viaggi è importante fermarmi in determinati luoghi proprio per lavorare. In Australia mi ci sono fermato un anno intero anche perché ho lavorato come il manovale in un cantiere, poi ho vissuto e viaggiato per due anni in Asia lavorando negli ostelli. Facevo delle lezioni di yoga, massaggi, attività di animazione per guadagnare qualche soldo. Con il tempo ho investito su me stesso e sulla mia attività di viaggiatore: ho acquistato un'attrezzatura fotografica per realizzare dei reportage, ho cominciato a curare il mio sito web e nel 2015 ho dato alle stampe il mio primo libro. Tutte attività che, un poco alla volta, mi hanno consentito di avere un ritorno economico e che, soprattutto, mi completano, mi fanno stare bene e mi consentono di portare agli altri il mio messaggio e la mia visione del viaggio.

Oggi posso dire che il mio mestiere è proprio quello di "travel blogger", ovvero di un nomade digitale che con il proprio computer e la macchina fotografica lavora grazie alla vendita dei suoi reportage e dei libri.

Quest'anno ho anche lanciato una scuola di ciclo viaggio on-line, proprio per ispirare più persone possibili a viaggiare in bicicletta e cogliere la medicina che c'è nel viaggio".

 

Quali sono le maggiori difficoltà a cui si trova di fronte chi vuole cominciare un'esperienza di viaggiatore?

"La difficoltà più grossa, secondo me, sta proprio all'inizio, nello scardinamento delle radici.

Ciascuno di noi, nel proprio quotidiano, si costruisce una routine, una zona comfort da cui è sempre difficile staccarsi. Una volta fatto questo primo passo, il resto viene un po' da sé.

L'arte di arrangiarsi secondo me è qualcosa di innato nell'uomo e basta risvegliarla, esercitarla un poco per imparare a vivere e adattarsi in qualsiasi situazione e in qualsiasi parte del mondo.

Purtroppo sono soprattutto i giovani a crescere circondati da questo comfort da cui fanno fatica a staccarsi per partire magari un po' alla cieca, senza un programma preciso, senza una vera meta. Però il viaggio, quello vero, è anche questo: passare momenti in cui non sai neppure tu cosa stai facendo e domandarti come ci sei finito in quella situazione. Nel viaggio riscopri tante cose, perché ti ritrovi a parlare con te stesso e lo fai fuori dalle tue zone comfort, in luoghi no comuni alla tua anima. Ti ritrovi spaesato e quello che puoi fare è semplicemente darti fiducia e portare avanti quell'esperienza che ancora non sai dove ti condurrà. Difficile è fare il primo passo verso questo ignoto, il resto poi viene da sé".

 

Quando si affrontano questi viaggi "avventurosi" ci sono accorgimenti che è bene prendere in termini di sicurezza?

"Quello che consiglio a tutti è di stipulare una buona assicurazione sanitaria, l'ho sperimentato sulla mia pelle tre anni fa, quando ho avuto un grave incidente in bicicletta. Per fortuna avevo l'assicurazione da viaggio che mi ha consentito di accedere alle cure e poi di farmi trasportare in Italia senza problemi.

Un altro strumento che ritengo fondamentale è il localizzatore satellitare, con questo e una buona assicurazione, anche se mi trovo in mezzo al deserto o fra le montagne e mi succede qualcosa, posso pensare di trovare una soluzione per riuscire a tirarmi fuori dai guai".

 

Per chi è sempre in viaggio come te anche il concetto di "casa" probabilmente assume un significato diverso dall'ordinario...

"Il mio ultimo libro, il quarto che ho scritto, si intitola proprio "La strada verso casa", intesa non tanto come luogo, ma come sensazione. Il libro parla dei miei viaggi attraverso l'Australia e l'Asia, durante i quali mi avvicinavo sempre più all'Italia, ma dove, anche quando ero ancora distante migliaia di chilometri, mi è capitato spesso di pensare: "qui mi sento a casa!".

Quelli sono momenti in cui riesci a percepire che casa tua è il tuo corpo e che, in qualsiasi luogo esso sia, tu hai degli occhi che sono le finestre, delle gambe per muoverti e una bocca per poter parlare con le persone e quindi riesci a trovare davvero la possibilità di vivere come se fossi a casa. Sei a casa!".